Il Salento, si sa, è terra di mare e di taranta, di vino rosso denso come sangue, di cicale assordanti e uliveti a perdita d'occhio. Il Salento che non si sa è d'acqua dolce e canneti, di silenzio e d'ombra, di di libellule formato preistoria e dorsi di pesce che brillano al sole mentre scivolano tra le alghe.
Una strada che diventa sterrato bianco tra i campi ed i muri a secco, le piante - verdissime - sempre più strette a strusciare contro i fianchi della macchina ed ecco all'improvviso la sorpresa!
Acqua. Acqua che si vede subito non di mare, lo si capisce dal silenzio, dalla calma senza risacca, dal verde che non finisce ma avanza fino dentro l'acqua, dai canneti che rendono labile il confine tra i due elementi. I laghi Alimini.
Il nome deriva da λίμνη (límni) il termine che usavano gli antichi Greci per indicare un lago o uno stagno e in questa terra che la Grecia la conosce da vicino, la cosa non stupisce più di tanto. I laghi sono due, Alimini Piccolo, alimentato da sorgenti è d'acqua dolce mentre Alimini Grande è alimentato anche dal mare che lo rende salmastro. Flora e fauna sono ricchissime e particolari grazie anche al fatto che i laghi fanno parte dell'Oasi protetta dei Laghi Alimini. Sottoposta a rigidi vincoli paesaggistici e naturalistici, questa zona è una vera oasi sia per gli animali stanziali che per quelli migratori.
Per godere di tutta questa naturale bellezza non c'è nulla di meglio di
una gita in canoa. Niente motore, niente rumore, solo il tuffarsi
ritmico della pagaia mentre la canoa scivola lungo la riva.
E se la canoa non me la sono portata? Niente paura, c'è Colori in Canoa!
Si possono affittare canoa e giubbino salvagente per seguire uno o entrambi gli itinerari proposti, segnalati da boe colorate, oppure si può prenotare una guida per escursioni anche di gruppo.
L'atmosfera è rilassata e tranquilla, il fondale basso permette di avere una buona visibilità e anche in caso di vento è possibile effettuare almeno uno dei due itinerari proposti, infatti partendo dal punto d'imbarco almeno uno dei due si trova sempre sottovento rispetto all'altro. La costa rocciosa conserva un che di marino ed i cefali grigi che nuotano appena sotto il pelo dell'acqua, rendono l'atmosfera un po' surreale... mare o lago?? Ma nessun dubbio sulla gita, piacevolissima e consigliatissima.
Flora e fauna ricchissime di specie rare come la cicogna bianca, il fenicottero, le gru, le oche selvatiche, cigni, germano
reale ma anche i falchi di palude, i gheppi, i nibbi, i falconi
pellegrini, le poiane e le aquile imperiali e le aquile del Bonelli. Non mancano i rapaci notturni quali il gufo,
l'allocco, la civetta e il barbagianni.
Nei boschi che circondano i laghi la fauna è
altrettanto ricca con fringuelli, tordi, storni, merli,
scriccioli, usignoli e picchi.
I
laghi permettono la vita di numerosi rettili come la testuggine
d'acqua e di terra, bisce d'acqua, cervoni e vipere. Molto comuni sono i rospi, che spesso
raggiungono notevoli dimensioni grazie alla generosa quantità di cibo,
le rane, le salamandre e il tritone.
I mammiferi più comuni sono i roditori come gli scoiattoli, i topi campestri, i ghiri, i
moscardini e i conigli selvatici. Chiudono la sfilata nauralistica i tassi, le donnole, le faine, le puzzole, i
ricci, i furetti e i cinghiali. Più difficili da vedere sono i
furtivi e aggressivi gatti selvatici e i timorosi gruppi di daini.
Di tutto questo zoo ho potuto intravedere (ma non fotografare... troppo lenta! O pagaio o fotografo!) una cannaiola, una mega libellula viola pazzia, cefali, ragni a secchiate, pesci non meglio identificati.
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mercoledì 16 luglio 2014
lunedì 14 luglio 2014
Racconti
Una vacanza che è sembrata lunghissima, con tante nuove esperienze e tante altre ancora da fare ma già "adocchiate" per la prossima volta. Salento, una terra aspra e dolcissima, contrasti forti e quasi dolorosi immersi in una luce assoluta e nel cicaleggio assordante degli uliveti i n f i n i t i.
Ce n'è di cose da raccontare, ma un po' per volta, che sono così buone e belle che se si raccontano tutte assieme si finirebbe a non capirne più dove inizia una e dove finisce l'altra.
Certo, una manciata di giorni non ti fa conoscere un territorio con tutte le sue complessità e sfaccettature, ma alcune storie si possono raccontare perchè sono evidenti e sincere. Sono lì.
Non parlerò del mare (bellissimo ma affollatissimo), ne' della Taranta, ne' del barocco leccese; racconterò altre storie, storie più piccole, storie diverse, storie da strade meno trafficate.
Ce n'è di cose da raccontare, ma un po' per volta, che sono così buone e belle che se si raccontano tutte assieme si finirebbe a non capirne più dove inizia una e dove finisce l'altra.
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Paper cut | Fabriano 200gr/mq |
Non parlerò del mare (bellissimo ma affollatissimo), ne' della Taranta, ne' del barocco leccese; racconterò altre storie, storie più piccole, storie diverse, storie da strade meno trafficate.
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Baia dei Turchi |
venerdì 6 aprile 2012
L'agnello di zucchero. Favola di Pasqua
Era una pasqua anni '70, di tarda primavera, calda da maniche corte e finestre aperte. Una pasqua semplice in famiglia, come si faceva in quegli anni lì, con l'abbacchio, la colomba basic e l'uovo di cioccolata al latte. Quello stesso uovo di cioccolata - e relativa sorpresa - che riceveva ogni bambino di casa, cugini, fratelli, sorelle, amichetti; tutti lo ricevevano, ma non lei.
Un paio d'anni prima, nessuno sa perché o percome, qualcuno aveva sparso la voce che a lei le uova di cioccolata proprio non piacevano, che quando ne riceveva uno ringraziava ma in realtà avrebbe preferito di gran lunga una pecorella di zucchero. Quelle si che le piacevano!
Sicuramente era stata qualche vecchia (stronza) zia a mettere in giro sta' voce, ma chissà come tutti ci credevano e le regalavano solo pecorelle di zucchero, e ogni volta che lei, per favore!, chiedeva un uovo di cioccolata tutti le rispondevano: "ma perché vuoi un uovo di cioccolata se ti piacciono le pecorelle di zucchero?".
Così anche quella pasqua aveva ricevuto solo e solamente pecorelle di zucchero. Incommestibili, se ne stavano immobili nelle loro bustine di cellophane con l'erbetta dipinta sopra, a guardarla con i loro occhietti dipinti di nero espressivi come buchi nel muro. Un esercito napoleonico di esseri zuccherosi somiglianti più ad un incidente stradale che a degli ovini.
Il culmine fu raggiunto quando una zia (si, probabilmente la vecchia stronza) arrivò per il pranzo portando un coloratissimo e gigantesco uovo di cioccolata per ogni bambino e per lei... non una pecorella di zucchero, no! Ma una enorme pecorella di zucchero! Praticamente un agnello, una pecora a dimensione reale, 2 chili di orrore diabetico. Con le lacrime agli occhi (tutti credettero di commozione invece erano di rabbia e frustrazione) lei mormorò un grazie e corse a chiudersi in cameretta portandosi dietro l'ovino.
Piazzò il mostro sulla scrivania, lo scartò con calma e, mentre da fuori li raggiungevano le grida di contentezza degli altri bambini che aprivano le loro uova di cioccolata-con-sorpresa, si guardarono negli occhi. La sfida era iniziata. Lei cominciò dalle orecchie e dal naso, l'agnello non poteva muoversi ma si difendeva con l'inerzia e la durezza del materiale, lei provava a scalfirlo con pennarelli, pezzi di giocattoli, a scioglierlo con i pennelli e l'acqua delle tempere, lui resisteva... adesso sembrava un agnello lebbroso, con il muso smangiucchiato, la coda mozza e qualche buco orlato di pennarello, ma sostanzialmente intero.
Un Bruce Willis degli ovini di zucchero che la guardava con un occhio di sfida (l'altro era sciolto). A quel punto la rabbia fu così tanta che lei prese BruceDiZucchero e lo scagliò fuori dalla finestra (aperta per il caldo).
BruceDiZucchero cadde, cadde per 4 piani, cadde silenzioso ed implacabile, cadde finché non ebbe la sua vendetta.
Al piano terra c'era un bel giardino curato e molto amato dal suo inquilino, il tipo strano dell'interno 1. Quello strano perché non sposato, tanti amici e nessuna fidanzata, che vive da solo, si dice forse comunista, di sicuro mai in chiesa e quindi ateo. L'ateo comunista stava prendendo il sole in giardino, steso sulla sdraio a godersi il tepore gentile, magari con una birra e del buon jazz nelle orecchie.
L'ateo comunista, nel giorno della SantaPasqua, fu punito dall'AgnelloDiZucchero che piovve dal cielo, centrandolo in fronte con precisione millimetrica e causandogli un taglio che fu suturato in pronto soccorso con ben 5 punti. L'ateo comunista si incazzò moltissimo e santificò il giorno di pasqua con l'apertura di un'indagine condominiale che durò l'intera giornata, fece saltare il pranzo di pasqua a tutti quanti, rovinò parecchie portate, fece litigare alcune coppie ed innervosire anche il parroco che era passato a salutare, ragion per cui in serata l'ateo comunista era stato universalmente condannato come "uno che se l'era meritata ed era stato punito dalla divina provvidenza" e tutti cenarono con l'abbacchio freddo e le patate riscaldate in forno.
L'inchiesta condominiale non trovò alcun colpevole, vuoi perché quel giorno c'era almeno un ragazzino-potenziale-attentatore ad ogni piano, vuoi perché l'ateo comunista adesso stava sulle balle all'intera palazzina. Tutti i bambini furono genericamente accusati e blandamente puniti, anche se ci fu un'offerta di amnistia nel caso in cui il VeroColpevole si fosse fatto avanti. Nessuno fece il passo avanti, lei men che meno e l'unico che portò i segni di questa storia fu il tipo strano dell'interno 1. Fece costruire una tettoia e nessuno lo vide più prendere il sole allo scoperto.
Qualche anno dopo la mia famiglia traslocò e non nessuno ne seppe più nulla per quasi 20anni.
Accadde una sera di pasqua grazie a qualche bicchiere di rosso extra. La verità venne a galla e confessai ai miei genitori che il bambino attentatore ero io e che tutto era stato causato dalla vecchia (stronza) zia che non si era fatta i fatti suoi e mi aveva condannato ad un'infanzia priva di uova di cioccolata, di sorprese e di colorata carta metallizzata.
Loro (i miei genitori) mi confessarono che avevano riso per anni della vicenda, soprattutto al pensiero del tipo dell'interno 1 che in ProntoSoccorso, mentre lo ricucivano, continuava a ripetere di essere stato ferito da un agnello caduto dal cielo il giorno di pasqua.
Niente conigli mannari per questa volta, ma pecore zombi e vendicative. Buona festa di primavera a tutti!!!
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venerdì 3 febbraio 2012
E' successo... nevica
Tutte le mie speranze di non-neve sono naufragate in un bianco mare di fiocchi. Si, davvero speravo che non nevicasse. In città la neve non va bene, è carina per i primi 15 minuti, poi diventa un'infame poltiglia grigia e ghiacciata, i mezzi pubblici si fermano, le vecchine scivolano sbricilandosi i femori, la città si paralizza. Sono contenti solo i bambini, tonti.
Magari città nordiche sono attrezzate, ma qui a Roma quando nevica è il panico. Per le prime ore ci sentiamo inseriti nel circuito delle grandi capitali europee, con i tombini che esalano vapore e questa lieve coltre bianca che fa apparire tutto pulito e nuovo. Tutti si scoprono fotografi professionisti del fiocco ghiacciato (anche io eh!) e qualcuno esce dall'ufficio a fare 4 scatti. Magari in mocassini. E magari lascia sul ghiaccio qualche reperto dentale. Si sa che il rosso sangue fa un bell'effetto sul bianco neve.
Poi le ore passano e la bella coltre bianca si trasforma nel mostro grigio del pantano (in italiano: palude, territorio fangoso e con acqua ferma), i radiatori delle auto si crepano e se l'impianto di riscaldamento si deve rompere lo farà sicuramente di notte intorno ai -5°. L'infame poltiglia nel frattempo si ghiaccia e l'indomani mattina siamo tutti allegramente bloccati a casa visto che a queste latitudini nessuno ha nel portabagagli le catene da neve e chi le ha non le ha mai montate. Qualcuno bussa al dirimpettaio anziano che, avendo assistito alla storica nevicata del '56, ha un minimo di esperienza nel settore.
Personalmente ho assistito alla nevicata del '85 e con quei pochi centimetri di neve c'era gente che aveva tirato fuori gli sci. Orribile. Nel 2007 ci fu una semi-forma di nevicata miseramente sciolta nell'arco di una mezz'ora di cui fui sconosciuta e sciagurata protagonista... come leggerete se avrete abbastanza pazienza e coraggio...
Il racconto fu scritto nei giorni immediatamente successivi all'avvenimento e noto, solo ora, che anche in quel frangente era di venerdì. Un venerdì di fine gennaio 2007.
Natura Matrigna
Dunque,
dunque… venerdì scorso… venerdì gennaiolo e ghiacciato.
Mi
sveglio con l’impellente necessità di acquistare n. 2 mensole di abete chiaro
da sistemare sopra la scrivania. Capita mai di svegliarti con ste’ voglie da
donna incinta? A me capita spesso. Mi
prendono queste smanie da esaudire entro la giornata, con l’impellenza da
giudizio universale, la sensazione di “ora o mai più” pena collisioni astrali,
invasioni aliene o attacchi di acne senile.
Devo devo DEVO avere entro la giornata le due
mensole!!!!!!!!!!!
Due belle
mensole da riempire immediatamente con i tre chili di cd che per ora
sonnecchiano per terra in compagnia di manuali/riviste/frattaglie di computer
che stanno sostituendo la texture del pavimento.
Ok, piano
d’azione: pagine gialle – bricofer/legnpront/faidate più vicino – andare –
acquistare n. 2 mensole 80x25 – tornare a casa – passare 2 mani canoniche di
mordente – trapanare la parete scelta per il martirio con 23 buchi per mettere
4 stop – incazzarsi – stuccare i 19 buchi di troppo – fare qualche altro buco –
fissare le mensole – constatare l’indubbia stortezza di una delle due mensole
(di solito la seconda) – riempirle con i cd+riviste nella speranza di
dissimulare l’asimmetria – farsi un tazzone fumante di nescafè – posizionarsi
sulla sedia ad ammirare con aria rapita la propria fatica abete su bianco
parete.
Approvato!
Ndo’ sta’ il bricofer/legnpront/faidate più vicino? Sulla Nomentana vicino allo
svincolo per il raccordo.
Che fortuna
– penso mentre sfoglio tuttocittà – Se taglio per il parco dell'oasi WWF ci metto un attimo e mi faccio pure una bella passeggiata nel
verde. Massssì a piedi (anfibiati) nel parco! Yeah!
Tutta
pimpante, me ne esco e imbocco la strada del bosco manco fossi cappuccetto
rosso in vena di incontri sadomaso con il lupo.
Che bella
la campagna di questo periodo! La mattina, impigliate tra i cespugli,
permangono strie di nebbiolina che imperlano le bacche di rosa canina mentre il
ghiaccio sbrilluccica ai raggi di sole che s’affaccia tra le nuvole orlate di
cremisi. Faccio pure ciao ciao alle pecore di un gregge sentendomi molto Heidi
mentre il cane pastore mi ringhia simpaticamente la sua intenzione di
masticarmi un malleolo. Ma nulla, proprio nulla può turbare la gioia immensa
che mi pervade nel pieno dell’agro romano mentre mi avvicino passo dopo passo
all’oggetto del mio desiderio: MENSOLE!
Cammina
cammina… eccolo il bricostore dei miei sogni! Un bel capannone bianco/rosso con
tanto di logotipo castorino con tuta da metalmeccanico dipinto sulla paretona
esterna.
Dio come
amo sti’ posti! Sanno di legno appena tagliato, con parsec di scaffali pieni di
viti, chiodi, chiodini, brucole, cacciaviti, trapani, cavalletti, minuteria
metallica che su di me fanno l’effetto gazza ladra. Si, lo so che non e’ da
femmine, ma a me prende così.
Mi aggiro
in estasi tra gli scaffali e (oltre alle agognate mensole) prendo anche qualche
etto di stop, un paio di metri di filo elettrico tripolare (non si sa mai
dovesse servire), un cacciavite rosso e una scatola gigante di chiodi
assortiti. Il tutto pesucchia, ma non
me ne curo, tanto adesso ci ho le mensole! Ma che mi frega del
mondo!
Pago,
esco e… porca puzzola! Il tempo nel frattempo è cambiato anzichenò. Il cielo,
bello compatto d’un bianco solido, da tempera lavabile per esterni. Un
venticello teso, freddo e secco, di quelli che ti ghiacciano le pupille e ti
disseccano all’istante, tipo mummietta andina.
Ma io ci
ho le mensole, che mi frega! Mi metto le cuffie, carico in blocco gli Mp3 della
sig.ra Amos Tori, imbraccio le mensole e mi rincammino tra i prati sul sentiero
di casa con l’aria baldanzosa del cavalier che va all’impresa. (No, non lui)
Anche
senza sole tutta questa natura è bella, anzi più bella, il vento ha spazzato
via le ultime brume e l’aria secca fa acquistare a tutto maggiore nitore, forse
Dio ha aumentato i dpi mentre scavavo tra la minuteria! Anche lui si diletta
con Photoshop… un bel filtro “contrasto”, un’aggiustata al livello saturazione
e via andar…
Trasportata
dalla voce un po’ roca della roscia cantante mi sento quasi spaesata, come se
vedessi il mondo per la prima volta o ne vedessi un aspetto presente ma
sconosciuto ed invisibile fino ad ora.
Questo
cielo! Incombente ma immenso, così spietatamente bianco, lattiginoso ma netto,
luminoso e spento al contempo, bianco bianco bianco.
Bianco
come alabastro traslucido, bianco lattiginoso d’aria rappresa…
Bianco
come… ma che è sta roba che vien giù? Pare polline dei tigli, ma non è un po’
presto per il polline????
O
cacchio, è neve!
Sta
nevicando!
Sta
nevicando a Roma!
Sta
nevicando a Roma ed io sono in mezzo a prati verdi e brulè a godermi lo
spettacolo con buona musica nelle orecchie e una bella dose di contentezza che
mi ronfa nell’anima.
Non
cammino, svolazzo a 5 cm da terra e mi sento un elfo cretino pronto a graziare
il mondo per la sua stupidità. Tutti voi siete in ufficio a bestemmiare davanti
ad un monitor, mentre io son qui, nel silenzio rarefatto delle esperienze
mistiche. Oddio, è spettacolare, acqua solida che scende planando da una madre
immensa che abbraccia l’orizzonte. Si posa e permane sull’erba e sui solchi
marroni aperti come morbide ferite. Ed io son qui, forse l’unico umano
nell’arco di 50Km a godersi questa prima senza repliche con tanto di colonna
sonora. Che figata!
Nel bel
mezzo di “1000 oceans” la voce di Tori si fa’ un po’ più roca… troppo roca, poi
strascicata, sofferente, lenta… ma che… maledetti elfi! Mi avete fregato, non
erano monete d’oro, ma solo foglie secche! L’incanto si frantuma in un
nanosecondo.
Tiro
fuori il lettore, bestemmiando le pile che si scaricano sempre sul più bello e…
orrore… non sono le pile. Il display, notoriamente a cristalli liquidi, si è
fatto solido. Si è congelato, ma nel vero senso della parola. Frizzato,
immobile, con le lettere smangiucchiate nella fissità eterna del ghiaccio.
Tanti aguzzi crudeli che avanzano dagli angoli verso il centro grigioverde con
lentezza inesorabile e tenace.
Accidenti,
accidenti e ancora accidenti! Getto intorno a me uno sguardo da basilisco
inceneritore e con vago senso di inquietudine mi rendo conto che l’incantevole
paesaggio di cui sopra non c’è più. Si è sciolto. O meglio, la neve non riesce
ad attecchire e si scioglie in una melassa maron tutt’uno con l’erba. Una
palude stigia in bilico tra il congelamento e il nevischio con la consistenza di
un pappone per cani. Un polpettone in cui sto affondando fino alle caviglie! Mi
si sta congelando anche il cervello!!!!!
Penso che
Leopardi avesse ragione. Natura materna che quando meno te lo aspetti diventa
matrigna. Dove è finita tutta quella poesia biologica che mi circondava
fino ad un attimo fa? Sono piombata in una trappola cementificatizia di terra e
vegetali con due assi di legno che iniziano a segarmi le dita e lo zaino pieno
di ferramenta assortita che con sinergico tempismo agevola l’affondamento nella
melma. Nel centro geografico del parco, senza uno straccio di umanità
all’orizzonte – chi cazzo va in giro co’ sto tempo?????
Riprendo il cammino. Tiro su il piede per fare il primo passo e capisco di
essermi fermata un minuto di troppo, sprofondando nella melma.
Un rumore
di risucchio denso, da gola di affogato, mi avvolge l’anfibio. Ad occhi chiusi
(l’orrore non lo si può guardare ad occhi spalancati) sento nitidamente un
rivolo di fredda densità che penetra tra il cuoio e il calzino.
Morirò
qui. Mi congelerò e mi ritroveranno al disgelo di primavera come Ozi, la mummia
alpina del paleolitico inferiore. Una mummia surgelata con due mensole sotto
braccio e tre chili di ferramenta nello zaino.
Deglutisco
tra lo schifo e l’orrore. Penso che sia poco elegante morire così. Coraggio,
prima il piede destro, poi il sinistro, ce la puoi fare. Ce la faccio, ce la
sto facendo. Avanzo nel pappone ghiacciato con la grazia di una medusa
spiaggiata, praticamente mi trascino nella guazza facendo versi da muflone
braccato dai lupi.
Il fiato
mi si gela ancora prima di uscire dalle labbra, inizio a non sentire più le
dita delle mani, quelle dei piedi non le sento già da un po’. Mollo le mensole?
Disperdo i chiodi per togliere un po’ di zavorra? Affanno. Fiatone. Nuvole di
condensa davanti alla faccia. Fiocchi sempre più fitti e grossi che continuano
a scendere. Inizio a lacrimare, non so se per il freddo tagliente o per la
disperazione. Ogni passo una fatica mostruosa, ormai al posto degli anfibi ho
un paio di galosce di fango cementificato da 3 chili l’una. Dei doposci
organici che mi avvolgono tenacemente le caviglie. Mi pare di aver visto anche
un lombrico nella mappazza, ma non voglio accertarmene.
Che posso
fare? Mi metto ad urlare nella speranza che qualcuno mi senta? Mollo ste
mensole? Nooooo, non posso, ma pesano, dio quanto pesano.
Inizio ad
avere una sensazione di stordimento. Iperventilazione? Le prime avvisaglie del
congelamento? Allucinazioni?
No, no,
non è un’allucinazione! E’ la strada! Eccola, la strada sotto casa, il caro
asfalto senza fango ne’ erba scivolosa. Devo solo fare gli ultimi passi e poi
sono salva!!!!
Guadagno
il marciapiede con la foga di un naufrago che sente sotto i piedi la solidità
della spiaggia. Ho i polmoni che mi fanno male dallo sforzo ma ce l’ho fatta.
Io, le mensole e la ferraglia sulle spalle.
Grande!
Fanculo mondo! Sono tornata a casa! Ragazzi che venerdì mattina…
Adesso ho
due bellissime mensole (di cui la seconda storta) attaccate al muro. Sono già
piene di cd e penso di doverne comprare altre due almeno ma aspetterò una
giornata di sole.
Il parco è lo stesso, cambia solo la data.
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